Da lontano tutto si idealizza.
Un giorno, lontano da qui, magari idealizzerò la passata di pomodoro fritta, l'affettato tagliato con la mannaia, circolare per le rotonde con la sensazione di giocare alla roulette russa. Magari idealizzerò perfino Shakira e Allison, le cagne isteriche della vicina brasiliana (con quei nomi è normale che siano carne da psicanalisi), il vicino belga che passeggia alle tre di notte con in braccio una borsa dell'Ikea (che preferisco non sapere cosa contiene ma mi son fatta delle brutte idee). Siamo un quartiere internazionale, contando anche la Tommy.
Per il momento però tocca ancora idealizzare il brodo di dado col formaggino Mio sciolto, i
risi col Pomito, il Ciobar di cioccolato bianco e i sofficini Findus di cui ho vissuto per anni, friggendoli perfino di nascosto. Ci ho vissuto fino al giorno in cui dentro ci ho trovato un chiodo. Era nel secolo scorso e non esistevano ancora i servizi di attenzione al cliente, avrei potuto vincere una causa miliardaria invece ho chiuso il rapporto col sofficino. Questo fino a qualche settimana fa, che me ne è venuta all'improvviso una voglia sfrenata (l'idea platonica di Italia gioca brutti scherzi), da piangerci su. E allora ho preso e ho fatto e ho fritto, ed ho pensato a Giancarlo, a tutti quei trigliceridi orrendi che ci piacciono da morire, la maionese, il burro (tanto burro!), il gelato di Ringo, il vitello tonnato dell'Aliper, le frittelle calde e unte per la prima colazione e star da cani una giornata (mangiarne tre a testa, che porsèi), il cotechino con le lenticchie all'una di notte subito dopo il pandoro, fare una torta di cioccolato insieme e morire nell'intento, una scatola di sfogliatine in due con un caffè.
E poi ho pensato che lui invece non mi è mai mancato, che c'è sempre stato.
Dai tempi del suo k-way Cuki Alluminio e del mio vestito da tigre tipo Amanda Lear grazie al quale il prof Dabalà mi mise automaticamente fuori dalla porta e 9 in condotta tutto l'anno. I momenti gloriosi, suoi e miei, quelli complicati o dolorosi (che spesso poi son la stessa cosa), la politica (
stai zitta in pubblico, fammi una carità), le mie perpetue valigie (
parti di nuovo, invereconda), il suo rimanere (saldo, sul territorio. L'orgoglio che sento per lui, per quello che fa), i momenti solidali, familiari, il dirsi tutto senza necessità di dirsi una parola. Quel
comportati bene che in realtà significa metti tutto a soqquadro che mi piace cosí.
E cosí da trent'anni.
Te vojo ben assè, vecio (e qui so che gli saranno caduti perlomeno tre capelli).
La ricetta della pasta di 'sti sofficini l'ho fregata a qualcuno ma non ricordo a chi, di sicuro qualcuno che mi piace e con cui mi scuso in partenza per non poter citare la fonte.
Ne vengono 12, cerchi di pasta da circa 10 cm di diametro.
Dentro ci ho messo besciamella e passata fatte in casa, cotto Ferrarini del Corte Inglés (1 sola fetta, tre etti. Il concetto spagnolo di "tagliato sottile").
Per la pasta:
200 ml di latte
100 gr di farina
30 gr di burro
sale
Bollire latte, burro, sale. Quando il tutto starà per bollire, versare la farina in un colpo solo. Mescolare bene e cuocere fino a che la pasta non si staccherà dalle pareti della pentola. Lasciar raffreddare un minimo, fare una palla, avvolgerla nel cellophane e lasciarla riposare 15 minuti. Poi stenderla su un piano di lavoro leggermente infarinato e ritagliare i dischetti dei sofficini.